La famiglia dei Felidae
Con 34 specie, la famiglia dei Felidae forma con quelle degli Hyenidae ( 4 specie ) e dei Viverridae ( 75 specie ) il sottordine degli Aeluroidea , che con gli Arctoidea ( vedere famiglie Canidae, Mustelidae, Ursidae e Procyonidae ) costituisce l’ordine dei Carnivora.
Si discute poi all’interno dell’ICZN (l’ente internazionale preposto alla tassonomia Zoologica) e dell’Unione Internazionale Zoologica, se i Pinnipedia, che sono carnivori a tutti gli effetti, si debbano classificare come un ordine autonomo o come un terzo sottordine dei Carnivora.
Alla famiglia dei Felidae, su cui ci focalizziamo in questa introduzione, appartengono varie specie selvatiche e dome- stiche molto note.
Il loro rappresentante per eccellenza è il comune Gatto domestico ( Felis silvestris catus ), insieme al cane uno dei classici animali da compagnia, che deriverebbe zoofilogeneticamente dal Gatto selvatico ( Felis silvestris ), anche se per diversi autori il discorso non è così lineare e chiaro, e tanto meno concluso.
Altri membri non domestici della famiglia dei felini, ben noti a tutti per la presenza in giardini zoologici, zoosafari e zoopark, sono il Leone ( Panthera leo ), diffuso in Africa e con una sottospecie o razza anche in Asia, in particolare in India (Panthera leo persica), e la Tigre ( Panthera tigris ), endemica dell’Eurasia, Cina e alcune isole annesse all’Indocina, come Sumatra, Giava, la quale è suddivisa in diverse razze e sottospecie, tutte, come i leoni, in pericolo d’estinzione, sotto il costante controllo di CITES, IUCN e WWF.
O ancora, il Ghepardo ( Acinonyx jubatus ) endemico dell’Africa o il Leopardo ( Panthera pardus ) presente sia in Africa che Asia, dove esiste una sua forma melanica: la pantera nera.
Altre specie asiatiche selvatiche meno conosciute, perché rare e poco studiate, sono ad esempio: il Gatto del Bengala ( Felis bengalensis ), il Gatto del Temminck ( Felis temminckii ) o il Gatto viverrino ( Felis viverrina ) endemici del sud-est asiatico, cui si aggiungono molte altre specie che tratteremo nelle schede.
A parte i Poli e le regioni subartiche e subantartiche la famiglia dei Felidae , è presente in tutto il pianeta. Nel Sud America troviamo infatti il Giaguaro ( Panthera onca ) anch’esso con una variante melanica, il giaguaro nero; nell’America settentrionale e meridionale il Puma ( Puma concolor ), con un nome volgare derivato dalla lingua Inca cui si è aggiunto quello di Leone di montagna; e in Europa per esempio la Lince ( Lynx lynx ), presente anche in Africa ed Asia, con le sue diverse razze tutte in serio pericolo d’estinzione.
Come visto dagli esempi sopra citati, nei nomi scientifici compare in alcuni casi il termine Panthera in altri Felis , in altri nomi non afferenti come Acinonyx e Lynx .
Fino all’inizio del ventesimo secolo, i biologi parlavano del genere Felis, cui associavano principalmente i gatti, sia domestici che selvatici, e del genere Panthera, cui si faceva risalire il leopardo, il leone, e la pantera nera, considerata una specie a se stante, e non, come si è poi dimostrato, solo una variante melanica del Leopardo ( Panthera pardus ). La tigre veniva messa coi gatti, tanto che il nome scientifico era Felis tigris.
Successivamente ci si rese conto che le varianti melaniche e albine erano determinate da sovra-espressioni o non espressioni per epistasi o mutazioni a carico di geni regolatori del colore del manto, presenti in leopardi, giaguari, leoni e tigri ( varianti leucistiche ), e che in barba ai generi a suo tempo assegnati, tutti questi animali avevano una comune origine zoofilogenetica.
In questa introduzione alla famiglia dei Felidae, che li riunisce, non possiamo parlare di tutte le specie, che rinviamo alle singole schede, ma nemmeno ignorare animali importanti come il Leone ( Panthera leo ), la Tigre ( Panthera tigris ), o il Leopardo ( Panthera pardus ).
Il leone, il massimo predatore della savana africana, è presente anche in India con la Panthera leo persica, una razza di dimensioni minori, quasi senza criniera, che vive, in scarsa competizione con la tigre, in piccoli gruppi, geograficamente isolati, dove questa è assente. Da studi zoogenetici e paleontologici, secondo il biologo zoologo O’ Brien, la specie africana e la razza indiana avrebbero un antenato comune vissuto tra la fine del Pleistocene medio e l’inizio dell’ultima glaciazione del Würm tra i 200.000 e i 55.000 anni fa.
Fino alla seconda guerra mondiale, sugli altopiani marocchini dell’Atlante e dell’Anti-Atlante, si aggirava anche il così detto Leone Atlantico o Leone Berbero ( Panthera leo leo ), di dimensioni ragguardevoli. Alto un metro e mezzo al garrese e lungo tre, con 300 kg di peso superava anche la tigre siberiana.
L’ultimo esemplare libero in natura, osservato dai biologi zoologi nel 1942, fu abbattuto dai cacciatori in Marocco vicino al passo montano di Tizi-N’ Tichka. E si parla anche di specie spurie ( ibride ) con dubbia identità biologica. Alcuni esemplari potrebbero essere infatti nati dai leoni presenti nel giardino zoologico di Témara, città marocchina a 6 km da Rabat.
Era il più grande felino, dopo l’estinzione della razza euroasiatica, detta Leone delle caverne euroasiatico o europeo ( Panthera leo spelaea ), che raggiungeva, insieme al Leone delle caverne americano ( Panthera leo atrox ), i 3,5 m di lunghezza, come mostrano gli scheletri fossili del Pleistocenico superiore rinvenuti in Europa, Asia e Nord America.
Il Leone ( Panthera leo ) è il più grande predatore della savana, suo habitat per eccellenza.
Passa la maggior parte della sua vita a riposo, cacciando solo se affamato, e anche allora cerca spesso di fare il furbo, rubando la preda uccisa da altri carnivori: un Leopardo, un Ghepardo, o qualche Hyenidae.
In genere cacciano solo le femmine del branco, mentre il maschio dominante preferisce riposare sotto un albero d’ Acacia tortilis.
Ovviamente date le alte temperature, che toccano anche i 50° C all’ombra, la caccia si svolge principalmente di notte o all’alba.
Quando vive solitario il maschio, è obbligato a cacciare, percorrendo anche 50 km al giorno per trovare la preda e abbeverarsi.
I leoni infatti bevono molto, anche 2-3 volte a settimana.
Ma anche quando è a capo di un branco, aiuta le femmine, nella caccia, in presenza di prede di grandi dimensioni, come un Alcelaphus buselaphus, un Syncerus caffer o un Connochaetes taurinus.
Le femmine che sono cacciatrici spietate, ogni giorno, durante le battute di caccia, portano con se i cuccioli, che osservandole, affinano con l’esperienza, l’istinto geneticamente ereditato della predazione.
Imparano la tecnica, come nascondersi nella folta savana e avvicinarsi alla preda in silenzio per sorprendere l’ignaro erbivoro.
Pur essendo carnivori per eccellenza, in condizioni di carenza alimentare i leoni possono adattarsi a mangiare insetti e rettili. Sono quindi definiti Eurifagi, che si nutrono cioè di un ampio spettro di prede, in contrapposizione agli Stenofagi, che si nutrono di una sola preda.
Anche se la fatica della caccia incombe alle femmine, i primi a mangiare sono sempre i maschi, o meglio il maschio dominante del gruppo, che con potenti ruggiti, mostrando i terribili canini, ricorda ogni volta agli altri membri del branco, maschi e femmine, chi è il capo, cui spetta, per primo, il diritto di nutrirsi.
Durante il pasto di una preda appena uccisa, poiché i leoni, come tutti i membri della famiglia dei felini, non sono in grado di produrre la vitamina A, si nutrono subito del fegato, organo in cui questa si deposita elettivamente.
L’apparato gastroenterico dei membri della famiglia dei felini, come per altri carnivori elettivi, è differente da quello degli erbivori, con un sacco monogastrico, un intestino più corto, e un cieco ridotto, mentre le ghiandole digestive, fegato, pancreas sono ben sviluppate per produrre enzimi ad attività proteolitica ( prodotte anche dalla mucosa gastrointestinale ) atti a digerire l’alto carico di proteine presente nella carne delle prede.
I maschi dominanti hanno anche la precedenza, sui giovani, negli accoppiamenti che avvengono durante tutto l’arco dell’anno, ma la loro vita, non è soltanto piacere, e comporta anche precisi doveri, come la feroce difesa del territorio e dei membri del branco, da altri leoni in concorrenza.
La maggior parte dei felini vivono solitari: si pensi alla tigre o al leopardo. I leoni si riuniscono invece in gruppi o branchi, che contano da 2 a 30 individui. Non si tratta di harem, perché includono spesso due o più maschi adulti, maturi sessualmente, e nemmeno di gruppi familiari, benché le femmine siano in genere imparentate tra di loro.
Un tipico gruppo, comprende due maschi adulti, una femmina molto vecchia e due femmine più giovani, ognuna con 2-3 piccoli al seguito.
I piccoli che riescono a sopravvivere ai pericoli dell’ adolescenza, non rimangono sempre legati al branco, e alcuni s’allontanano per formarne di propri.
I leoni, per natura molto aggressivi e spesso rivali, mal si adattano alla vita di gruppo. I rapporti all’interno del branco sono spesso molto tesi, ed esplodono frequenti liti. La vita comunitaria comporta tuttavia dei vantaggi, come quello di poter allevare in gruppo i cuccioli. In alcuni casi i membri del branco cacciano insieme, ma non è la norma.
Ogni branco ha un territorio, che può variare da 4.000 a 13.000 ettari. La sua ampiezza dipende dalla densità di popolazione, delle prede presenti, e delle sorgenti d’acqua. I biologi zoologi hanno calcolato un rapporto di 3-4 leoni per 1.000 erbivori.
Il maschio, che nel pieno del suo sviluppo può raggiun- gere i 200-240 kg e una lunghezza di circa 2-2,20 m, contro i 150-170 kg delle femmine, ha un ruolo indispensabile nella difesa del territorio.
Presenta una folta criniera marrone, in contrasto col fulvo manto del corpo, che si fa più scura col raggiungimento della maturità sessuale. Assente nelle femmine, è un chiaro carattere di dimorfismo sessuale.
I piedi degli arti anteriori ( come per tutti i Felidae ) hanno 5 dita, 4 nei piedi degli arti posteriori. La coda in entrambi i sessi, possente e lunga anche 1 m, termina con un ciuffetto di crini scuri.
La dentizione è ovviamente tipica dei carnivori: canini e incisivi molto sviluppati, con anche 10 cm di lun- ghezza, utilizzati sia per strappare la carne, che per la difesa e la caccia.
In più sono presenti una classe di denti, detti ferini, al posto di alcuni molari classici degli erbivori, che servono per tagliare la carne, la quale viene ingoiata non masticata, i felini non masticano come la maggior parte dei carnivori, ingoiano il boccone.
Il possente ruggito di un leone maschio, baritonale a bassa frequenza, si fa sentire anche a 3-4 km di distanza.
Gli zoologi hanno notato che tali versi vengono emessi in relazione a stati fisiologici precisi, per esempio entrando in fregola, quando viene percepita la presenza di una femmina in estro, ma anche per delimitare acusticamente ( dopo averlo fatto con l’orina ) i limiti invalicabili del territorio, come accade ogni giorno al tramonto o nelle prime ore dell’alba.
Questo perché, stando alla “teoria dell’inversione termica” proposta dal biologo Frumkin nel 1970, i ruggiti emessi in queste fasi della giornata si propagano meglio per motivi atmosferici.
Nella savana africana, infatti, ma questo vale anche per altre regioni estremamente calde nel mondo, la notte è fredda, e la temperatura può scendere anche di 20-25° C rispetto il giorno. Una Giraffa camelopardalis che tra i piedi e la testa presenta un dislivello di 5 m, può per esempio percepire di notte, alla base delle zampe, temperature più basse di 25° C rispetto al capo.
Questi enormi gradienti termici fanno si che verso l’alba si formi un vero e proprio scudo d’aria calda nell’atmosfera, che rimbalza i suoni baritonali a bassa frequenza dei leoni e degli elefanti ( possono persino raggiungere i 6 km di distanza ! ), riducendone la dispersione e propagandoli in lunghezza, mentre in prossimità del tramonto la discesa d’aria fredda forma uno scudo analogo.
Questo coincide proprio coi momenti in cui leoni ed elefanti emettono le loro grida, e non è chiaro se sono consapevoli ed usano le proprietà atmosferiche come una sorta di linea telefonica interurbana, o se è tutto solamente frutto del caso.
La possente mole del maschio, unita alla voce, all’aggressività, ed alla grande capacità combattiva, che gli permette d’attaccare, se affamato, anche anziani Elefanti ( Loxodonta africana ) per non parlare degli Ippopotami (Hippopotamus amphibius), dei Coccodrilli ( Crocodylus niloticus ), Rinoceronti ( Diceros bicornis e Ceratotherium simum ), Bufali cafri ( Syncerus caffer) e persino dell’essere umano, gli hanno valso non ha torto il titolo di re della savana o della foresta.
Se un branco di iene può, in alcuni casi, cacciare una leonessa dalla preda uccisa, queste non si avvicinerebbero mai in presenza di un maschio !
I leoni si riproducono, come accennato prima, per tutto l’anno, anche se in Sud Africa, la maggior parte delle nascite, avviene in autunno e inverno. Durante l’accoppiamento un maschio e una femmina possono avere più amplessi al giorno, anche 20, ma di breve durata, di 15-20 secondi ciascuno.
Le femmine gravide, in prossimità del parto, si allontanano dal branco per partorire in un luogo isolato. Nascono 3-4 cuccioli, dopo una gestazione di 100 giorni circa, con un peso di 1,50-1,60 kg circa.
I piccoli presentano un manto chiazzato, con macchie marroni circolari, che spariscono durante la crescita nei maschi, e permangono talora nelle femmine.
Nel frattempo si forma la criniera, meno folta, ma estesa anche lungo tutto il ventre, nella razza indiana.
Nella specie africana questa si limita alla testa, ma fa assumere ai maschi dimensioni davvero imponenti. E serve anche da protezione nei combattimenti, perché i peli, duri e folti, proteggono dagli artigli dell’avversario.
Le prime dieci settimane di vita, prima d’essere integrati al branco, sono molto critiche per i leoncini, che sono spesso preda delle iene, mentre la femmina si allontana per andare a caccia. Solo metà della prole raggiunge in genere l’età adulta.
I rapporti sociali coi maschi e le altre femmine migliorano quando i cuccioli entrano a far parte del branco, al punto che vengono protetti da tutti, e spesso due madri se ne disputano l’allattamento.
Inizialmente gli spostamenti del branco, sono limitati dalla presenza dei cuccioli, ma dopo qualche settimana riprendono, con un raggio sempre più ampio, e i piccoli si adeguano.
Pur seguendo da sempre le madri nelle battute di caccia, per impararne le tecniche, saranno in grado di procacciarsi una preda solo verso il diciottesimo mese di vita, periodo che segna a una seconda fase critica della loro esistenza, perché coincide spesso con la nascita di altri cuccioli fratelli.
La madre si disinteressa di loro, ed i maschi diventano intolleranti alla loro presenza, rubandogli il cibo o allontanandoli bruscamente affinché provvedano a se stessi.
Le battute di caccia si protraggono dal tramonto all’alba, non essendo molto resistenti nella corsa, i leoni tendono agguati, sbucando improvvisamente dal folto della savana in prossimità di una preda, sorprendendola durante il pasto.
Sia le femmine che i maschi, quando attaccano una preda, saltano sulla sua schiena, addentando con la potente morsa la gola, non squarciandola, ma soffocandola.
Spesso il peso del leone può spezzare la schiena dell’erbivoro.
Ma 4 volte su 5 la preda riesce a sfuggire, in quanto più rapida o protetta dal suo branco.
Per questo vengono di preferenza attaccati i cuccioli degli erbivori, che sono meno esperti nella fuga e si spaventano, disorientandosi più facilmente degli adulti.
I leoni cacciano solo se sono veramente affamati, ma quando mangiano lo fanno fino a rimpinzarsi.
Un maschio adulto può mangiare anche 40 kg di carne a pasto: 1/6 del suo peso !
Ai banchetti, per favorire la digestione, fa seguito un lungo sonno.
A causa della grande quantità di sangue fresco assunto, dopo il pasto i leoni emettono feci nere. Quando sono marroni è invece un chiaro segno di digiuno. Per gli zoologi, l’esame delle feci è quindi un metodo per stabilire se un leone ha mangiato da poco, o meno, e per capire di cosa si nutre, perché i peli presenti, non digeribili, mostrano poi, al microscopio, la natura della specie predata.
Le iene attendono la fine del pasto di un leone o gruppo di leoni per nutrirsi dei resti, ma può accadere che un gruppo di iene venga cacciato via da due, tre leoni maschi che gli rubano la preda appena uccisa, comportandosi da spazzini opportunisti.
Zoogeograficamente il Panthera leo è oggi presente nell’Africa sub-sahariana, mentre la razza asiatica Panthera leo persica risulta confinata nelle isolate foreste di Gir in India.
La Tigre ( Panthera tigris ), l’altro grande felino predatore, è presente nella Eurasia ( Russia-Siberia ), Cina meridionale, India, nel sudest asiatico, ove è confinata in Parchi Riserve Naturali.
Oggi sopravvivono in natura solo pochissimi esemplari, forse 5.000-6.000 al massimo, ma in compenso ve ne sono altrettanti nei giardini zoologici, zoosafari, e zoopark.
Grazie a queste strutture, che spesso recuperano esemplari feriti dai bracconieri, non più in grado di reintegrarsi nel loro ecotipo naturale, si è finora evitata l’estinzione delle sue diverse razze e sottospecie con programmi di biologia della riproduzione.
In passato l’areale della tigre si estendeva dalla Europa alla Turchia, fino alla Cina. Esigui gruppi, sono presenti ancora oggi, anche in Iran e Manciuria.
La IUCN, il WWF, e la CITES ne monitorano costan- temente la popolazione e tentano di contrastarne il bracconaggio, mediante la cooperazione tra biologi e guardie rangers, per evitarne l’uccisione, allo scopo di ricavarne la pelliccia a fini commerciali e le zanne, che come il corno di rinoceronte, purtroppo ancora oggi, vengono utilizzate nella medicina orientale, perché si pensa posseggano poteri afrodisiaci e magici, credenze interessanti dal punto di vista antropologico-etnologico, ma che non hanno alcun fondamento scientifico.
Contrariamente a quanto spesso si crede, la tigre non è più grande del leone. Il Leone Atlantico ( Panthera leo leo ) supera infatti per dimensioni, come abbiamo visto, anche la tigre siberiana, che è la razza più grande della specie.
In cattività le differenze in dimensioni, tra maschi di Panthera leo e Panthera tigris sono quasi nulle. Si può registrare al massimo 10 kg di grasso e 3-4 cm di lunghezza in più nelle tigri, mentre in natura i valori si equivalgono o sono a favore del leone.
Anche in termini di tecniche combattive e ferocia, il leone che ha più competitori della tigre nel suo ecotipo, è quindi più pericoloso ed abile del felino asiatico.
Tant’è che negli zoo e zoosafari i leoni creano molti più problemi di adattamento e sono molto più pericolosi per i visitatori delle tigri; e quando i maschi delle due specie si battono in cattività è sempre la tigre a soccombere.
La tigre resta comunque sempre, in natura, un terribile e pericoloso predatore.
Le tigri vivono solitarie e, si riuniscono in coppie, solo per procreare e allevare i cuccioli.
Non sono però animali del tutto asociali, infatti quando è stata uccisa un grossa preda, come un cervo adulto, gli individui che vivono sul medesimo territorio, si riuniscono a volte per sbranarla.
Ogni maschio, ha un suo territorio di caccia, che difende dagli altri maschi. Questi territori coprono spesso aree dove vivono numerose femmine e aree indifese, e a volte si sovrappongono.
Di solito, sia maschi che femmine, delimitano il loro territorio di caccia, orinando ed emettendo secrezioni odorose.
Di norma la tigre vive al centro del suo areale, ove fa ritorno, dopo la caccia per risposarsi, lasciando la preda uccisa, non completamente divorata, nel luogo dell’agguato, nascondendola tra i rovi, per evitare che altre tigri o leopardi se ne possano cibare.
Le tigri, diventate sessualmente mature, vagano fino a che trovano un luogo dove stabilire, il centro del loro areale.
Il possesso del territorio, marcato come sopra descritto, viene proclamato sia dai maschi che dalle femmine, con ruggiti che raggiungono i 3 km di distanza.
Le femmine ruggiscono anche per richiamare i cuccioli, o per attirare i maschi durante il periodo dell’estro. I maschi durante l’accoppiamento.
Nelle ore diurne, come il leone, la tigre dorme o rimane nel folto della foresta, magari guazzando in uno stagno per rinfrescarsi.
Al crepuscolo va a caccia, senza uscire dal suo territorio, dove può percorrere anche 30 km a notte.
Scoperta una preda, che può essere un cervo o un Bufalo d’acqua ( Bubalus bubalis ), con la vista e l’udito, più che con l’olfatto, si avvicina fino a 10-20 m, per assalirla improvvisamente da tergo.
La tigre ha una tecnica di caccia solo in parte simile al leone: non salta sulla schiena dell’animale, ma lo butta giù con un colpo di zampa anteriore, tramortendolo. Poi lo soffoca, con il potente morso alla gola o, nel caso di prede minori, le fulmina mordendole alla nuca.
A volte la tigre tende l’agguato in prossimità di una pozza d’acqua o un sentiero, aspettando che l’animale s’avvicini. Non ha la resistenza necessaria a lunghi inseguimenti, e sfrutta quindi la sua zebratura nera sul mantello fulvo, giallo-rossiccio, per mimetizzarsi nella folta vegetazione pluviale tropicale del suo biotopo.
Anche la tigre, come il leone, è carnivora elettiva e eurifaga. Le sue prede abituali sono, cervi, cinghiali, antilopi, nilgau, gaur, bufali e bestiame domestico, ma quando queste mancano, si nutre anche di piccoli rettili, rane, uccelli, e pesci. In un solo pasto, che può durare anche due ore e mezza, una tigre magia fino a 22-24 kg di carne, e poi nasconde i resti per i giorni successivi.
Le dimensioni variano con le sottospecie e razze. La più grande è quella siberiana. Nella specie Panthera tigris un maschio può raggiungere i 200-220 kg di peso e 2-2,20 m di lunghezza; una femmina circa 140 kg e 1,90-2 m al massimo.
Nel periodo della riproduzione, le tigri, come i leoni, si accoppiano più volte al giorno. L’atto è breve, e anche in questa specie non dura più di 15-20 secondi.
Dopo una gestazione di tre mesi, la femmina partorisce in una tana, da 1 a 5 piccoli, di cui in media due soltanto sopravvivono e diventano adulti.
La madre, come per i leoni, allatta i piccoli per circa 6 settimane, poi subentra lo svezzamento con la carne.
Quando hanno da 4 a 6 settimane di vita, i piccoli, che da tempo hanno imparato a camminare, cominciano a seguire la madre nelle battute di caccia, ma non vi prendono parte fino al sesto mese di vita.
Durante questo periodo, la madre, abbatte la preda ma non la uccide, lasciando il compito ai piccoli.
Una giovane tigre diventa completamente indipendente a circa 12 mesi di vita postnatale.
A 12-18 mesi è già capace d’uccidere suini e cervi, ma solo a partire dai tre anni è in grado d’abbattere i bufali d’acqua.
Molti sub-adulti, abbandonati dalle madri, soccombono anche ad opera di altre tigri, o altri animali, fra cui il Rinoceronte indiano ( Rhinoceros unicornis ).
Due segnali caratteristici, sono stati individuati dagli zoologi cinesi, come segnali etologici di aggressività nelle tigri. Secondo alcuni scienziati, quando una tigre abbassa le orecchie mostrando nel contempo i canini è in fase di difesa, mentre quando, ruotando le orecchie, mostra le macchie bianche del dorso è sul punto d’aggredire.
Come i leoni e molti altri felini, le tigri presentano 5 dita nei piedi anteriori e 4 in quelli posteriori e artigli retrattili. Quando camminano alloggiano in apposite tasche per evitare che si consumino, mentre durante l’attacco si estrudono, grazie a potenti muscoli estensori.
Un altro membro importante della famiglia dei Felidae è il Leopardo ( Panthera pardus ).
E’ il più agile dei grossi felini, in grado d’inseguire la preda nel folto della vegetazione o aggredirla saltando dal ramo di un albero, dato che è un ottimo arrampicatore.
Più piccolo del leone e della tigre, ma non è meno feroce, raggiunge nei maschi i 135 cm di lunghezza con appena 50 kg di peso. Più silenzioso del leone e della tigre, sa nuotare, arrampicarsi sugli alberi, e saltare come la tigre.
Quando è in bilico su un tronco, a diversi metri da terra, la coda lunga più di un metro gli permette di restare in equilibrio perfetto, e passa molto del suo tempo sugli alberi, accucciato fra i rami.
I leopardi, sono diffusi in gran parte dell’Asia fino a Sumatra e dell’Africa, non solo nelle folte foreste tropicali, ma anche nelle zone più aperte.
In Asia, gli areali di distribuzione di leopardi e tigri coincidono largamente.
Non c’è concorrenza, perché mentre le tigri si occupano per lo più dei grossi ungulati, i leopardi tendono a cacciare animali di taglia inferiore, come uccelli, scimmie e roditori. La non sovrapposizione dell’ecologia alimentare, permette di vivere in areali sovrapposti.
I leopardi cacciano per lo più la notte. Di giorno, in genere, preferiscono riposarsi.
Quando hanno avvistato la preda, la seguono silenziosamente, strisciando a terra, per poi saltargli addosso, al momento giusto, senza pietà e tentennamenti. Spezzano il collo alle specie più piccole, mentre quelle di taglia maggiore vengono afferrate ai lombi, e poi aggredite alla gola e soffocate col morso.
Quando la preda è morta, la sventrano, scartando inizialmente gli intestini, e si nutrono subito del fegato, preziosa riserva della vitamina A, del cuore e delle cosce. I resti vengono portati su un albero, per evitare che animali spazzini, come sciacalli o iene, possano rubarli. Anche in questo caso è la vista più che l’odorato ad aiutare nella caccia il felino.
Il pelo del leopardo è corto, giallo cosparso di macchie nere. La disposizione di tali macchie è sempre diversa: come gli alberi della foresta non hanno mai lo stesso numero e disposizione dei rami, così non esistono due mantelli identici.
La femmina partorisce in genere tre cuccioli dopo tre mesi di gestazione. Appena sono abbastanza grandi, seguono la madre nelle battute di caccia, e dei due genitori, lei è l’unica a prendersi cura della prole. Li osserverà mentre uccidono le prede, prima piccole, e poi via via, crescendo, di taglia sempre maggiore.
La pantera nera, che vive nelle più umide giungle dell’Asia sudorientale, è una forma melanica della Panthera pardus , non una specie diversa.
Osservato bene sotto la luce, il suo manto nero lucido evidenzia infatti delle macchie più scure, tipiche del leopardo.
Infine un’ultima specie di leopardo, il Leopardo nebuloso ( Neofelis nebulosa ), che molti biologi zoologi considerano il progenitore non estinto dell’attuale Panthera pardus , è endemico dell’Asia sud- orientale. Oggi rarissimo, ha il manto giallastro, cosparso di grandi macchie grigie orlate di scuro.
Con circa un metro di lunghezza e 24 kg di peso, ha dimensioni intermedie tra il leopardo ed i piccoli felini. La sua coda raggiunge i 75 cm di lunghezza, e come per il leopardo serve a mantenere l’equilibrio quando si spostra fra i rami.
Negli esemplari più vecchi, il centro della macchia tende a schiarirsi, lasciando ben visibili solo i bordi orlati scuri, ed è quindi facile conoscere l’età dell’animale.
Tutti i piccoli felidi delle foreste asiatiche sono solitari. I maschi e le femmine vivono insieme solo durante il periodo degli accoppiamenti.
I maschi non si curano mai dei piccoli, che nascono in tane scavate nel terreno o nel cavo degli alberi.
Anche i felini asiatici di piccola taglia sono temibili ed esperti cacciatori. La maggior parte sa arrampicarsi benissimo sugli alberi, e cacciano gli animali più svariati: scimmie, topi, uccelli, rettili, anfibi, e persino insetti, non disdegnando i pesci che uccidono nei piccoli corsi d’acqua. A differenza del gatto domestico i piccoli felini asiatici amano infatti generalmente l’acqua, come del resto accade per la tigre o il leopardo
Il Gatto della giungla ( Felis chaus ), preda di preferenza uccelli come pappagalli, pernici e fagiani.
Endemico dell’Asia sudorientale e del Medio Oriente, vive sia nelle zone più aperte della foresta che nelle macchie della savana. Di casa in canneti, boschetti, bush e piccole foreste di pianura, ha l’estremità della coda ornata d’anelli neri, e anche la punta delle orecchie termina con ciuffetti di pelo nero. Sia i maschi che le femmine pesano 7-8 kg circa.
Di equivalente statura c’è il temibile Gatto viverrino ( Felis viverrina ), endemico del Sudest Asiatico, India, Pakistan, Cina, e isole annesse.
Vive di preferenza accanto a fiumi e ruscelli, dove va a caccia di pesci, grazie alle dita parzialmente palmate che caratterizzano i suoi piedi, o nelle foreste acquitrinose e nelle paludi, dove cattura anche piccoli mammiferi, rettili, anfibi e uccelli acquatici.
Entrambi i sessi misurano circa 80 cm, con una coda di 30 cm. Le macchie che ornano la loro pelliccia sono ordinate in linee lungo tutto il corpo, quelle presenti sulle zampe appaiono poco distinte.
Un altro gatto asiatico, che presenta un’ecologia alimentare equivalente a quella del Felis viverrina , è il Felis planiceps , presente in Malesia e nelle foreste del Borneo e di Sumatra. Vive anche lui lungo i corsi d’acqua, con stessa dieta.
Altre due specie di piccola taglia, endemiche del Sudest asiatico, sono il Gatto di Temminck ( Felis temminckii ) e il Gatto variegato ( Felis marmorata ).
Il Felis temminckii è l’unico felino asiatico, che presenta un manto uniforme, non maculato. E’ tutto bruno, con due strisce nere sulle guance giallastre, e con una linea chiara sopra gli occhi. Si arrampica e vive bene sugli alberi, nutrendosi di uccelli, piccoli mammiferi, scimmie, rettili e anfibi. Ha dimensioni simili a quelle del gatto viverrino.
Il Felis marmorata è invece solo poco più grande del gatto domestico, ha una coda molto lunga e pelosa. Sui fianchi le macchie dall’orlo scuro, conferiscono al suo pelame un aspetto marmorizzato, da cui deriva il nome. Si nutre di piccoli mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e insetti.
I membri della famiglia dei Felidae che abbiamo fin qui descritto, sono autoctoni dell’Africa o dell’Asia, ma varie specie di felini vivono anche nelle foreste tropicali sudamericane.
Tra le specie più piccole, due tipi a pelame maculato, il Margay ( Felis weidii ), il Gatto tigre ( Felis tigrina ) sono più numerosi del loro affine, l’Ocelot ( Felis pardalis ) che vive in zone alberate e più aperte.
Il margay e il gatto tigre, sono animali molto timorosi e circospetti. Vivono nel folto della foresta e cacciano di preferenza la notte.
Sulla loro etologia, ecologia alimentare, e biologia riproduttiva si conosce ben poco, mentre l’ocelot, che abita in zone più aperte, è stato meglio studiato. Sappiamo che vive sugli alberi, ma si nutre a terra, e che a differenza degli altri felini non tende agguati, ma rincorre la preda.
Queste tre specie presentano tutte un manto giallo dorato, bianco sul ventre, con macchie e chiazze scure, e si nutrono presumibilmente d’uccelli e piccoli mammiferi.
Sempre in Sudamerica troviamo il Jaguarundi ( Felis yagouaroundi ) è più forte e grande delle tre specie sopra citate. Misura in tutto 120 cm, coda compresa, e vive più ai margini che all’interno delle foreste. Manto uniforme, non maculato, e lunga coda. In Messico è chiamato gatto lontra, sebbene il nome non renda giustizia al suo aspetto.
Il pelo, può presentare tre colorazioni: nera, grigia scura e castana. Si nutre di specie sia a vita arboricola che terragnola: scimmie, uccelli, piccoli mammiferi, rettili e anfibi.
In Sudamerica è presente anche il Leopardus guigna , autoctono delle foreste pluviali tropicali in diverse aree geografiche, che in barba al nome è poco più grande di un gatto. Detto comunemente kodkod, e noto anche in passato come Oncifelis guigna .
Animale molto raro e membro a pieno titolo della red list of endangered specie della IUCN.
Conta due sottospecie o razze: il Leopardus guigna guigna ed il Leopardus guigna tigrillo con differenze minime. Il primo si distingue infatti solo per i piedi macchiati, la colorazione più brillante, ed una corporatura più minuta.
A prima vista il kodkod è molto simile al Gatto di Geoffroy o Gatto montano ( Leopardus geoffroyi ), anche lui endemico del Sud America, e noto in passato anche col nome di Felis geoffroyi o Oncifelis geoffroyi .
In realtà il kodkod presenta macchie nere di forma più tondeggiante ed alcune striature sulla testa e sulle spalle assenti nel Leopardus geoffroyi .
La folta e corta coda nel kodkod risulta marchiata con anelli, mentre le parti posteriori delle orecchie sono nere con un punto bianco centrale. Sono frequenti anche esemplari melanici nel folto della foresta.
Il kodkod presenta un cranio brachicefalo ( corto e molto largo ) e convesso. La classificazione tassonomica risulta ancora ambigua, sia per il kodkod che per il gatto di Geoffroy.
Nella nomenclatura sono stati infatti proposti i generi Leopardus, Oncifelis e Felis usato ancora oggi da molti zoologi.
Quello che invece pare certo, da analisi genetiche, è che il kodkod e il gatto di Geoffroy sono parenti. Quindi forse, dal punto di vista tassonomico, sarebbe bene pensare ad una classificazione comune.
Ma il più grande carnivoro delle foreste tropicali sudamericane e dei Felidae del Nuovo Mondo, è senza alcun dubbio il Giaguaro ( Panthera onca ).
Assomiglia al leopardo, ma è d’aspetto più massiccio, con le zampe più corte. E a differenza di questo, le rosette del manto recano al loro interno delle macchie.
Benché il giaguaro sia in grado d’arrampicarsi sugli alberi, gli adulti sono troppo pesanti per muoversi agilmente fra i rami. I maschi possono infatti raggiungere anche i 2 m di lunghezza, con 120 kg di peso. Pur avendo circa la stessa lunghezza, il giaguaro è molto più robusto del leopardo, con una massa muscolare che richiama più quella dei leoni e delle tigri.
I giaguari sono animali errabondi, e a volte, uscendo dalle foreste, possono spingersi fino alle Pampas, dove uccidono il bestiame. In genere però cacciano gli animali della foresta: cervi, aguti, e branchi di pecari che seguono pazientemente, attendendo l’occasione propizia per aggredire qualche esemplare isolato.
Come per i leopardi, i giaguari melanici non sono una specie a sé stante, e al pari delle pantere nere, di casa nelle dense foreste asiatiche, mettono a profitto, nelle oscure foreste sudamericane, la peculiarità del loro cromatismo del manto.
A differenza dei felini di piccola taglia, che in qualche specie partoriscono due cuccioli l’anno, le femmine di giaguaro, partoriscono solo ogni due o tre anni. Maschi e femmine, fanno vita in comune soltanto nel periodo d’accoppiamento. I parti sono per lo più bigemini, e i cuccioli impiegano circa 2 anni per raggiungere la maturità sessuale.
Nelle due Americhe, dal Canada alla Patagonia, dalle foreste ai deserti, fino al limite della vegetazione arborea, vive un altro grosso felino: il Puma ( Puma concolor ) con varie sottospecie o razze.
Detto anche Leone di montagna, o Leone d’America, presenta una colorazione uniforme, che va dal bruno-giallastro al giallo-grigiastro. La livrea maculata dei giovani, scompare infatti con la prima muta.
Può raggiungere i 120-130 Kg di peso, con lunghezze che vanno dai 95 ai 160 cm, ed una coda di 45-80 cm.
Le gambe sono robuste, idonee a salti molto lunghi, tant’è che può compiere, da fermo, incredibili balzi di 6-8 m.
Eccellente corridore, agilissimo nel salire sugli alberi o arrampicarsi sulle rocce, a caccia principalmente di mammiferi di media e grossa taglia.
A seconda del tipo di prede presenti nel suo habitat, tende a specializzarsi su un solo genere, come scimmie o pecari negli habitat subtropicali.
Per questo è definito stenofago, in contrapposizione agli eurifagi, come il leone, che si nutrono di varie specie d’erbivori.
Durante il periodo riproduttivo, i maschi, generalmente poco aggressivi e tolleranti coi conspecifici, ingaggiano furiose lotte, per la conquista della femmina.
Una volta nati, i cuccioli, sono allevati solo dalla madre.
A differenza di altri felini, il Puma concolor non ruggisce, ma emette una sorta d’ululato, che parte acuto per poi abbassarsi fino ad essere quasi baritonale.
Presente solo nel Nord America, dal Canada alla parte settentrionale del Messico, troviamo infine il Bobcat ( Lynx rufus ).
Detto anche Lince rossa, non è molto selettivo nella scelta dell’habitat, pur preferendo le zone rocciose.
Più piccolo della Lince europea ( Lynx lynx ), ha un mantello grigio-rossastro, con numerose macchie brune o nere, e misura 65-105 cm. I maschi sono più grandi delle femmine. Vista e udito sono acutissimi.
Come altre specie di linci, il bobcat è un animale estremamente territoriale e solitario, ma può cacciare anche in gruppo, di preferenza la notte, nutrendosi d’uccelli, rettili, e mammiferi: dai topi ai cerbiatti. Si riproduce una volta l’anno, di solito a inizio primavera. Dopo circa 70 giorni di gestazione nascono 1-3 cuccioli, accuditi dalla femmina fino agli 8 mesi d’età.
Come la lince europea il Lynx rufus è a rischio estinzione per la IUCN, e fa parte della Red list of endangered threatened animal species.
Un carnivoro particolare, per certi versi atipico nella grande famiglia dei Felidae, e infine il Ghepardo ( Acinonyx jubatus ).
E’ endemico dell’Africa centro meridionale, ma lo troviamo a piccoli nuclei, ormai rari, anche nell’Atlante marocchino e nell’Asia minore.
Predilige le pianure aperte, dove preda solo poche specie, ma anche le savane alberate, ed è il più veloce animale terrestre.
Deve questo record ai muscoli potenti, alla spina dorsale flessibile, ma soprattutto alle unghie non retrattili, che, come i chiodi sulle scarpe degli atleti, accentuano l’aderenza col terreno.
Da fermo, un ghepardo può raggiungere in soli due secondi i 72 km/h ( sfido qualunque auto a far di meglio ! ) per arrivare in breve a 110 km/h, velocità che può mantenere solo per una trentina di secondi, non avendo una resistenza elevata.
Caccia solo antilopi di piccole dimensioni, che raggiunge con un breve scatto, isola e abbatte con un colpo di zampa, soffocandole col morso alla gola.
Non è raro che più esemplari partecipino al banchetto, sbranando la preda e nutrendosi rapidamente del fegato e degli altri organi interni, prima che giungano i leoni o le iene a rubargli il pasto.
I ghepardi vivono per lo più solitari, ma si spostano talora in coppie o piccoli gruppi familiari. Le femmine partoriscono da 2 a 5 piccoli, dopo una gestazione di tre mesi, ma la mortalità dei cuccioli è molto alta, e solo la metà raggiunge i 6 mesi di vita.
Le prede preferite sono la Gazzella di Thomson ( Eudorcas thomsoni ) e gli Impala ( Aepyceros melampus ), ma talora uccidono anche uccelli e lepri selvatiche.
Cacciano di giorno, preferibilmente il mattino presto, o verso il tramonto, mentre nelle ore più calde si muovono poco, riposandosi sui termitai, tronchi d’albero caduti, o piccole alture, da cui spiano sognando, come davanti a un menù, il movimento dei branchi d’antilopi e gazzelle. Usano sostanzialmente due tecniche di caccia.
Nella prima il ghepardo cammina lentamente nella prateria, come se niente fosse, senza nascondersi alle gazzelle, che si limitano ad osservarlo. Quando arriva a circa 70 m dal branco, le femmine sentinella, cominciano a emettere versi di pericolo, ma i maschi dominanti lo lasciano avvicinare fino a 45-50 m prima di dare il segnale di fuga.
Nel frattempo ha selezionato visivamente la sua gazzella, per lo più isolata, e gli balza improvvisamente addosso con i suoi 110 km/h che mantiene in genere solo per 250 m. Poi, se non l’acchiappa, desiste.
La seconda tecnica consiste nell’avvicinarsi lentamente e furtivamen- te alla preda strisciando nella vegetazione della savana, irrigidendosi completamente quando la gazzella o gli altri componenti del branco al pascolo alzano gli occhi.
Quando è giunto a 30 m dalla vittima designata, il ghepardo attende che l’animale gli volga la schiena e gli balza addosso.
Quando la preda è giovane, verrà sicuramente uccisa. Se è adulta, il colpo riesce una volta su due.
Per terminare vorrei parlare del gatto domestico.
Come già accennato, il Felis silvestris catus è stato fin dall’antichità un compagno dell’ Homo sapiens sapiens , insieme al Canis lupus domesticus , ed è oggi praticamente diffuso in tutto il mondo, eccetto le regioni prossime ai poli.
Una specie a struttura polifiletica, caratterizzata cioè da numerose razze o sottospecie.
Alcuni studiosi suppongono che le prime forme d’addomesticamento nacquero nell’Egitto dei Faraoni, nel 5600 circa a.C. col mitico Mau Egiziano. Lo provano vari reperti archeologici, come ritratti e statue di gatti trovati nelle antiche piramidi egizie, per non parlare delle mummie di gatti del tempio delle dea gatta Bastet.
Sicuramente, alla stregua del coccodrillo, dell’ippopotamo, anche il gatto era venerato come divinità dagli antichi egiziani, poiché proteggeva i loro raccolti di cereali, dai terribili roditori.
E si sono ritrovati documenti dell’epoca, che narrano di veri e propri lutti e funerali, celebrati alla morte di un gatto. Ma recenti indagini in parallelo, di zoogeografia e zoogenetica, fanno pensare, vista anche la diffusione cosmopolita, ad un’origine Euroasiatica più antica, datata tra i 7.000-10.000 anni fa con la nascita dell’agricoltura e la pastorizia.
Comunque sia, è certo che la selezione delle numerose razze, in cui si suddivide e frammenta questo animale domestico, cominciò all’inizio dell’ Ottocento. Tra le più antiche, ricordiamo il Siamese, il Gatto d’angora e il Gatto di Manx.
Attualmente, coi progressi dell’ingegneria genetica e embrionale, oltre ai metodi classici d’accoppiamento e ibridazione, i biologi stanno creando nuove forme, manipolando il genoma ( inserendo DNA esogeno di razze diverse di gatto ) e l’embrione delle varie razze di gatto domestico. Comunque sia, le attuali razze, vengono classificate in base alle differenze di pelo. Occorre diustinguere fra:
Razze a pelo lungo: che fanno capo al Persiano, che deriva probabilmente dall’incrocio tra i Gatti d’Angora, originari della regione turca di Ankara, con gatti provenienti dalla Persia. Sembrerebbe che la razza persiana abbia raggiunto l’Italia e la Francia nel XVI secolo, ma che solamente a partire dal XIX secolo, raggiunse lo status di razza autonoma. Altre razze a pelo lungo sono il Chinchilla e l’Himalayano.
Razze a pelo semilungo: hanno un pelo esterno (pelo di taglia media) lungo quanto il pelo intermedio (i peli più lunghi del manto), a differenza delle razze a pelo lungo il cui pelo esterno è più corto. Ciò dà loro un pelo più a contatto del corpo, aumentando così la loro assomiglianza con le razze a pelo corto e dando loro una impermeabilizzazione del pelo che ha reso ad alcune razze la reputazione di gatto nuotatore. Inoltre, i gatti a pelo semilungo sono generalmente poveri di sottopelo, caratteristica che fa sì che il loro pelo si aggrovigli poco. Appartengono a questo gruppo razze quali l’Angora Turco, il Sacro di Birmania, il Balinese, il Burmese.
Razze a pelo corto: che presentano notevoli differenze, a seconda che si trovino a latitudini più settentrionali o nelle zone equatoriali.
Le razze a pelo corto, originarie dei Paesi a clima caldo, hanno infatti poco sottopelo, mentre quelle che vivono in Paesi dell’emisfero boreale, più freddi, hanno più sottopelo e sono di dimensioni maggiori.
Secondo la legge di Allen-Berger, infatti, gli animali di dimensioni minori presentano una superficie di dispersione per il calore maggiore, rispetto a quelli di dimensioni maggiori; dispersione che viene favorita anche da appendici più grandi, si pensi ai padiglioni auricolari della volpe polare, che sono piccoli, mentre nella volpe del deserto sono enormi.
Vi è poi una razza a prima vista senza pelo, detta Sphynx, ricoperta da una peluria vellutata.
Il gatto domestico, ha ereditato le capacità di caccia, aggressività, furbizia, e agilità che si riscontrano nei felini selvatici, anche i più grossi, come il leone, la tigre o il leopardo, con cui condivide l’abilità nel salire sugli alberi, per cacciare rettili, scoiattoli, ghiri, uccelli e insetti.
Come per gli altri felini, il gatto domestico presenta artigli retrattili, piedi anteriori a cinque dita e posteriori a quattro, ed è digitigrado nella deambulazione. Ma in realtà, c’è un distinguo importante da fare.
Il fatto che non hanno più bisogno d’andare in cerca di prede, perché vengono quotidianamente nutriti dai loro proprietari, o trovano quanto meno il cibo nella spazzatura dei centri urbani, non li ha resi meno spietati nella caccia, sebbene non la pratichino con lo scopo di nutrirsi.
Mentre infatti tutti i felini selvatici uccidono per mangiare, i gatti domestici lo fanno solo per motivi ludici, o, secondo la teoria del biologo zoologo Spencer, per espellere quel surplus energetico che è in loro, e per non perdere le caratteristiche ancestrali di predatori.
Un impulso irrefrenabile a dover cacciare, cui però non fa seguito il pasto della preda.
Il biologo inglese I. McDonald, che studia la Biologia dei gatti domestici da 40 anni, ha notato che in Inghilterra, ove circolano diverse migliaia di gatti domestici ben nutriti, ma lasciati liberi durante il giorno nei giardini dei loro proprietari, o comunque liberi di muoversi, stanno decimando la fauna selvatica autoctona.
Tra passeriformi, roditori, sciuridi ( scoiattoli ), lagomorfi ( conigli, lepri ), rettili, anfibi, senza contare gli invertebrati, vengono uccisi 50.000-60.000 animali all’anno, che non vengono mai divorati, ma al più portati a casa come trofeo ai propri padroni !
Un esempio tipico è il gioco del gatto col topo. Quando un Felis silvestris catus incontra il simpatico Mus musculus , lo tramortisce con una zampata, e poi ci gioca, finché stanco lo squarta e lo lascia li inerme.
Una caratteristica anatomo-fisiologica dei gatti, che li ha fatti entrare nella leggenda come animali dalle 7 vite, o addirittura a 9 vite come corre voce in alcuni paesi asiatici, è il fatto che cadendo da altezze elevate, come il quarto piano di un palazzo, riescono a sopravvivere.
Mediante tecniche di cinematografia al rallentatore, i biologi hanno infatti osservato che in queste spettacolari cadute l’animale ruota abilmente su se stesso, atterrando sempre sulle 4 zampe, mentre il corpo, aperto a paracadute, ne riduce la velocità. Una complessa cooperazione tra fibre nervose, dette fusi del Golgi, presenti lungo le zampe e il sistema del labirinto ( l’organo per la percezione dell’equilibrio presente nell’orecchio interno di tutti i mammiferi ), che conferiscono proprietà di caduta non comuni ai mammiferi di altre famiglie ed ordini.
Il Felis silvestris catus presenta sulla lingua delle cellule ad uncino che ne determinano una consistenza ruvida, rendendola simile a un pettine. Più efficiente di quella dei cani, percepisce i sapori, trattiene cibo e liquidi , e funge da spazzola per la pulizia del pelo.
Uno dei modi più noti che i gatti hanno per comunicare è il brontolio a basso tono tipico delle fusa.
Appena nati, ancora ciechi, sono già in grado d’emetterlo, forse per richiamare l’attenzione della madre e farsi rintracciare. Nei confronti degli umani, esprimono soddisfazione o insoddisfazione a seconda dei casi.
I biologi zoologi pensano sia un retaggio primitivo: un modo per comunicare senza essere uditi dai predatori che percepiscono frequenze più alte.
Il Felis silvestris catus , non soggetto come il Gatto selvatico ( Felis silvestris ) alle limitazioni imposte dal clima e dalla scarsità di cibo, può riprodursi anche 3 volte l’anno.
Dopo circa 60 giorni di gravidanza, nascono i cuccioli, possono essere anche fino a dieci, che sono ciechi e incapaci di camminare, raggiungono l’unità lattea ( mammella ), strisciando, rintracciandola con l’olfatto.
Incominciano lo svezzamento, intorno all’ottava settimana e, all’età di 6 mesi, sono già in grado di cavarsela da soli.
Per concludere abbiamo visto quanto sia vasto, complesso il mondo dei Felidae , con svariate strategie e tecniche di predazione, che si sono evolute in migliaia d’anni per soddisfare i bisogni nutritivi, poggiando sul rapporto sensi, eredità genica e ambiente.
Cucciolo Bengala nell'oasi Khoomfay - Italia |
Commenti
Posta un commento